Cuba Mi vida Un cubano a torino
Domani partiamo per Cuba

Finalmente, dopo quasi tre anni Torno a Cuba!.

Questa volta è un ritorno molto importante perché andiamo con nostro figlio Nicola e, finalmente, i suoi nonni

cubani lo conosceranno. Non solo i nonni ma i suoi zii, due cugini di primo grado e più di 30 di secondo e terzo

grado.

Il viaggio sarà un po’ faticoso perché partiamo da Torino per Madrid e da Madrid per L’avana. Arriveremo all’Avana

a lle 20.40 e il giorno dopo, domenica, partiamo in aereo per Santiago de Cuba.

Spero che tutto fili liscio, che non piova tanto come a Torino e che Nicola si adatti bene al caldo, zanzare e al casino del mio quartiere con la le radio  a 100 kw sparando ritmi di salsa, reggaeton e rock tutte le ore.!

 

Cuba Mi vida Nicola
Il 14 giugno partiamo pr Cuba

Dopo una lunga attesa di quasi tre anni, partiamo per Cuba.

Abbiamo prenotato il volo Torino/Madrid/Avana e il giorno dopo Santiago.

E’ un giro lungo ma non c’era niente di meglio. Sono un po’ preoccupato perché questa volta partiamo con Nicola e non sappiamo come reagirà al clima. A giugno fa molto caldo ma speriamo che lo possa sopportare.

Il mangiare mi preoccupa di meno perché lui mangia di tutto, mi preoccupano di più le zanzare. Blinderemo la stanza con le zanzariere anche se mia mamma mi ha detto che non ce ne sono ancora tante.

 

Cuba Mi vida Nicola Un cubano a torino
Primo Maggio 2008 a Torino

Da quando vivo in Italia, maggio 2002, Ho partecipato a tutte le sfilate del primo maggio tranne una.

La prima volta che ho partecipato ho notato delle differenze con il Primo Maggio a Cuba. A Cuba la gente si alza presto per la sfilata e alle 8 sono tutti in piazza. I lavoratori e impiegati sfilano con i loro compagni di lavoro tutti con una maglietta e cappellino aposta per la sfilata in modo che i colori siano uniformi. Sfilano le scuole militare, le forze armate, il Ministero dell’Interno, la polizia in fine quasi tutti.

La sfilata si fa in blocchi compatti e ogni gruppo in ordine .In questo modo chi guarda la sfilata dalla TV o da lontano, può rendersi conto dove si trova ogni gruppo che sfilerà. In una citta’ come Santiago de Cuba con mezzo milione di abitanti, almeno la meta’ sfila. Tanti spontaneamente, altri un po’ obbligati perche’ se lavori non fai bella figura se non ti vedono sfilare e se sei militante della Gioventu’ comunista o del PCC, lo fai per forza. Di solito Raul Castro , quando era il vice, partecipavava a Santiago e Fidel all’Avana in modo che in caso di un attentato non si trovino sullo stesso posto. Quindi la differenza in quantita’ e’ enorme, Torino 30 000 persone. Santiago de Cuba quasi 200 000.

 

 

Ero curioso di vedere come sarebbe andata dopo la sconfitta della sinistra, o scomparsa, dopo le ultime elezioni. Devo dire che mi è piaciuta di più e ho visto più giovani dell’ultima volta. Ho sentito il discorso di Chiamparino in piazza San Carlo e il discorso di una giovane del gruppo GIOC, gioventù operaia cristina.

L’altra differenza è che a Cuba abbiamo sempre sventolato bandiere cubane e anche se dicono che siamo un paese comunista, non si vedono bandiere , nè si sono quasi mai viste, con la falce e il martello. Al massimo una bandiera Rossa con Marx, Engel e Lenin ma mai Stalin come ne ho vista una che sventolava nel gruppo di Rifondazione Comunista. Forse i cubani siamo troppo nazionalisti e pensiamo ai versi di Bonifacio Birne che tornando dall’America dopo la fine della guerra Ispano Cubana, vide aizzate sulla Fortezza del Morro dell’Avana la bandiera cubana con accanto la bandiera americana, disse:

” CON LA FE DE LAS ALMAS AUSTERAS HOY SOSTENGO CON ONDA ENERGIA CHE NO DEBEN FLOTAR DOS BANDERAS DONDE BASTA CON UNA:LA MIA”. La sfilata è stata bella anche perché per la prima volta, visto che ha solo due anni, Nicola Alejandro ha partecipato alla sfilata, tutto vestito di Rosso, ballava per la strada al ritmo della musica dei giovani operai che con un bel rap si domandavano “come mai, come mai, sempre in culo agli operai!”

Cuba Grammatica spagnola
Diversi tipi di pronuncia dello spagnolo

Anche se lo spagnolo parlato è diverso non solo da paese a paese ma anche
da quartiere a quartiere, la grammatica è una sola, dettata dalla Reale Accademia della Lingua Spagnola e tutti i paesi seguono le sue direttive.
Certo, a Cuba non ci insegnano la coniugazione dei verbi con “vosotros”
o “vos” perché sono pronomi personali che non si usano da noi. “Vosotros”
si usa solo in Spagna e “vos” in America del Sud.
Lo spagnolo “miglior parlato” non dipende dal paese ma dal livello culturale
della persona.Certo, nei paesi dove il livello di scolarità è più alto si parla
e scrive meglio ma nello stesso paese ci sarebbero sempre delle differenze.
Nel caso di Cuba si sceglie la provincia di Camaguey come l’accento cubano
standard ma non vuol dire che i Camagueyanos parlino meglio, soltanto che
in Camaguey viene meno deformato quando si parla.
Gli estremi sono Santiago de Cuba e L’Avana dove nello spagnolo colloquiale
si allontana molto dal cubano standard, quello parlato in TV al telegiornale
o quelli che conducono programmi in TV che devono parlare bene ed avere una buona dizione altrimenti non ci mettono piedi.
Nello spagnolo lationamericano la esse a fine sillaba viene aspirata.
Ad esempio : Esto si pronuncia “ejto” con la i lunga aspirata ma non come in spagna che sembra la h araba.
Una frase celebre per differenziare lo spagnolo di ogni regione e la seguente:
Al soldado acosta que se presente a la posta con casco puesto pistola y todo“.
Se uno spagnolo lo pronuncia correttamente sentirete la esse come se fosse
la sh in inglese.
Un latinoamericano pronunciandola correttamente , le esse si sentirebbero
più fischiante, come in italiano nella parola posto.

Se la pronuncia un latino in generale, sentireste la frase così:
” Al soldado acojta que se presente a la pojta con cajco puejto pijtola y to'”

Un santiaguero medio, non laureato, come i ragazzi che trovate a piazza Cèspedes a vendervi l sigari e non solo, la pronuncerebbero così:

” Al soldado acota que se presente a la pota con caco pueto pitola y to'”
Poi se la persona ha un certo livello culturale quando la scrive la scrive con
tutte le esse.
A Santiago, al Nord: Boniato, Caney ecct, c’è addirittura un’altra pronuncia.
I verbi infiniti che normalmente finiscono in -ar, -er, -ir; per loro finiscono
in -ai, -ei e -i: Esempio ” Nagüe, vamo a jugai!” e ho scoperto che solo in quella zona lì ed anche in campagna a Baracoa, usano il passato imperfetto in modo completamante diverso, nemmeno mio bisnonno parlava così:
Invece che dire Estàbamos ( eravamo) loro dicono estàbanos. Una cosa stranissima!.
Io ho girato tutta Cuba perché facevo la guida turistica a Cubanacan Santiago e ho avuto modo di sentire tutte le differenze del nostro spagnolo.
Avevo cominciato a scrivere un libro su questo tema ma col trasferimento in Italia l’ho posticipato.
A trinidad in periferia cambiano la lettera elle per erre alla fine di sillaba
come succede nel Sud della Spagna: invece che dire “Alma” (anima) dicono
“arma” mentre arma ha lo stesso significato che in Italiano.
Da Santa Clara fino all’Avana la erre e la elle a fine sillaba vengono aspirate
e fanno raddoppiare la consonante della prossima sillaba:
por qué viene pronunciato “pok ké” (perché), polvo = “povvo” (polvere,non da sparo), aldea =” addea”.
Un’altra caratteristica di questa regione e che l’accusativo nel passato remoto
lo usano come nel linguaggio poetico:
Invece che “le dije ” loro dicono “dìgole” (gli ho detto), “le dijo” =”dìjole”
(gli ha detto o le ha detto).
Per qualunque latinoamericano il problema si pone all’ora di scrivere
una parola che abbia una di queste lettere:b,v si pronunciano come b
e s,c e z si pronunciano come s, chiamato seseo oppure ceceo. La
y davanti a una vocale, come in yuca (manioca), si pronuncia come la doppia
elle in lluvia(pioggia).Quindi, all’ora di scrivere se uno non ha imparato bene a
scuola oppure non legge molto è veramente una catastrofe.
Le lettere che ricevo dai miei genitori (mamma 50 anni sesta elementare, mio padre 56, prima media) le devo leggere ad alta voce per capire quello che scrivono perché scrivono come parlano e a volte mettono pure due parole insieme. Mia moglie Sara che parla e scrive lo spagnolo molto bene, ha lasciato perdere:un vero geroglifico.
Io ci tengo alla mia lingua e pure alle altre che parlo e l’italiano cerco sempre di parlarlo con tutti i congiuntivi altrimenti finisce che parlo anche così in spagnolo come tanta gente che ho sentito parlare senza il congiuntivo in spagnolo cosa che non è un problema nemmeno per un’alfabeta. In spagnolo il congiuntivo viene naturale, non puoi farne a meno come in italiano. I problemi
nello spagnolo non è il congiuntivo come lo è in italiano.
In italia mi fa arrabbiare vedere certa gente in TV ed anche in parlamento, pure i giornalisti, che non sanno parlare oppure parlano con il loro accento e le loro frasi dialettali.Per forza che con una tv che non ci tiene alla lingua e una scuola decadente, la gente non parla bene.
Nel mio ufficio ricevo delle email da alti funzionari e dirigenti che sono veramente una vergogna. A Cuba forse uno della scuola superiore non avrà una grammatica perfetta ma sicuramente ce l’ha un dirigente o uno che lavora in tv.
Noi cubani anche dobbiamo fare attenzione: va bene che ciascuno parli come ha sempre parlato ma evitiamo di parlare in itagnolo che è comico ma non bello e noi italiani , perché sono anche cittadino italiano, evitiamo di usare
tanti anglicismi quando l’italiano è pieno di parole che vogliono dire la stessa cosa.
In ogni caso, se uno ci tiene a scrivere e parlare correttamente, si compera un bel libro di grammatica, studia un po’, legge il giornale o qualche libro e impara. A scuola era obbligatorio ma adesso che siamo adulti lo possiamo fare
con piena libertà. Io non sono mai andato a scuola di lingua italiana, l’ho imparato da solo, e penso di non scriverlo così male.
Per qualunque dubbio su frasi, uso di parole e modo di dire, chiedete senza
problemi!
” Saber leer es saber andar. Saber escribir es saber ascender” disse il poeta
ed Eroe Nazionale cubano José Martì.

Cuba Mi vida
Hidran, Matrícula en la Universidad de Santiago de Cuba

Mis días de vacaciones se iban volando desde que llegué a Nuevitas. Eran las últimas antes de entrar a la universidad. Era la primera vez que venía a este lugar. Mi tía hacía diez años que vivía aquí. Desde el balcón de la casa se divisaba el océano con sus aguas de un azul turqués muy bello, solo cortado por las costas de Cayo Sabinal que se interponía a la entrada de la bahía.
El barrio de mi tía fue creado por las microbigadas populares, donde los mismos dueños debían trabajar e la construcción de estas casas para tener derecho a una. Eran edificios de 5 pisos con dos pasos de escaleras. La mayoría de los habitantes venían del oriente de Cuba como mi familia.
Recibo un telegrama de mi madre diciéndome que debía regresar urgente para matricular en la universidad. Al otro día fui para la estación de trenes para ir hasta Camaguey y ver si podía coger el tren que iba hacia Bayamo. Llegué a esta ciudad sobre las 7.30 PM. Nunca antes había visitado Camaguey, solo había pasado por ella dirigiéndome a Nuevitas. Averigüé el horario del tren Camaguey Bayamo y me dijeron que era a las 2 de la mañana y que había que ponerse en lista de espera para ver si sobraban espacio. Comencé a pasear por las calles cercanas a la estación. A diferencia de Bayamo, que fue virtualmente destruida por el incendio que provocaron sus habitantes en 1869 para no entregársela a los españoles, tiene muchas calles coloniales. Pavimentadas con adoquines, las tejas de sus techos, los balcones con balaustres torneados o con hierro colado. Estaban muy oscuras las calles y decidí regresar a la estación. Me puse a ver televisión para que el tiempo pasara más rápido. Había mucha gente que, como yo, esperaba la llegada del tren, a diferencia de que yo no tenía el pasaje.
Finalmente llegó el tren. Las ferromozas no dejaban subir sin el boleto y finalmente subí con un señor que me dijo que pagando el doble directamente a la ferromoza podíamos subir. Así lo hicimos y pudimos abordar el tren. Durante todo el viaje no pude dormir. El ruido del roce de los raíles con la maquinaria era ensordecedor con su monótona melodía que se repetía a cada segundo.
Llegamos a Bayamo sobre las 7 de la mañana. Desayuné en la estación de autobuses, que quedaba al frente de la ferroviaria, y compré el ticket para la guagua de Jiguaní. Una vez que llegué a mi municipio fui para la salida para ver en qué podía ir hasta mi casa. Después de esperar una hora pude irme en un camión hasta la entrada del camino que conduce a mi barrio en el campo. Llegué a mi casa casi a la hora de almuerzo. Saludé a mi mamá y mis hermanos que estaban en la sala.
– ¿Cómo fue el viaje?- me preguntó mi mamá mientras me servía café en un vaso.
– Imagínate- le respondí- Casi tengo que dormir en la terminal de Camaguey pero finalmente pude conseguir un ticket y coger el tren. ¿Para cuándo me sacaste el pasaje para ir a Santiago?.
– Para el 23- Me respondió sin dejar de barrer la cocina.
– Pero mami, el 23 de Agosto, si se te ha olvidado, es mi cumpleaños-le dije con tono irónico y sorprendido al mismo tiempo.
– Sí, yo lo sé, pero pensé que te iba gustar conocer Santiago el día de tu cumpleaños.
– Sí-le respondo- Pensándolo bien, no es mala idea.
El 23 me levanté temprano porque la guagua salía a las siete y media. Me puse el pull-over que mi papá me había regalado para mi graduación del preuniversitario. La parte de atrás era azul, sin cuello, y la parte del frente con dos franjas: una roja y otra azul. El pantalón era beige con pinzas sobre cada bolsillo.
Tomé la guagua y durante el trayecto iba pasando por lugares que no conocía. Solo conocía contramaestre y no me eran extraños los naranjales que se veían a derecha e izquierda. Luego pasamos por Palma Soriano con los ojos ya agotados de ver tantos campos sembrado de caña de azúcar. Alrededor de Palma era más bonito el paisaje con inmensos valles cubiertos por palmas verdes y altísimas que ondeaban al vaivén del viento que despeinaba sus cabelleras de hojas verdes y largas como serpientes que penden de sus cuellos.
Después de casi dos horas de viajes llegamos a Santiago de Cuba. Siempre había soñado con venir a esta ciudad llena de historia y visitar lugares históricos como el Cuartel Moncada, hoy convertido en una ciudad escolar, y la Granjita Siboney, lugares donde se fraguó la Revolución contra la dictadura de Fulgencio Batista.
Al lado de la estación se encontraba la Plaza de la Revolución que estaba siendo remodelada. Al lado, una bella avenida donde pregunté dónde quedaba la universidad. Me indicaron que siguiera recto por toda la avenida y a la izquierda la encontraría. Me dirigí a la facultad de Ingeniería eléctrica para hacer mi matrícula y para mi sorpresa se encontraban allí también compañeros de estudio del preuniversitario en ciencias exactas de Holguín. Nos saludamos y nos pusimos de acuerdo para dar una vuelta por la ciudad después de terminar la matrícula.
Sobre las once tomamos la avenida victoriano Garzón para ir a Coppelia, la heladería de Santiago de Cuba. Me sorprendía al ver lo irregular del terreno de la ciudad con sus calles con pendientes que parecían colinas. Los autos expelían una cantidad de humo increíble al subir la avenida debido al esfuerzo que tenían que hacer para vencer la pendiente.
Llegamos a la famosa heladería Coppelia y después de una hora de cola pudimos entrar al salón. Aprovechamos los 20 minutos que tuvimos que esperar para recibir el servicio para contarnos lo que cada uno había hecho en las vacaciones y preguntar por el destino de otros compañeros. Exageradamente nos tomamos 21 bolas de helados cada uno. Salimos con las barrigas hinchadas como chinchas y nos sentamos afuera para seguir hablando. La agradable conversación no me impedía que admirara la belleza y la variedad de muchachas de Santiago que hacían la cola. Había de todo tipo: blancas, bellas mulatas, negras no tanto, imaginaba que hubiera más población negra en Santiago acorde con lo que había escuchado decir, sin embargo, me di cuenta que lo que más abundaba eran los mulatos, a diferencia de Holguín, donde había estudiado, donde la mayoría de la población era blanca y tenía fama de racista y regionalista.
Después de más de una hora de conversación nos despedimos hasta el próximo primero de Septiembre que debíamos comenzar el curso. Yo continué para la terminal para coger la guagua de Bayamo y regresar a mi casa. Para mi sorpresa, la terminal estaba repleta de gente. Me dirigí a la ventanilla para sacar un turno para la lista de espera y quedé sorprendido al ver que mi número estaba al menos 300 números por encima del primero que debía subir al ómnibus. Esperé hasta las cinco y media cuando se suponía que debía salir la guagua. A esa hora empezaron a montar por el orden de los números y perdí todas mis esperanzas. Solo había asientos para 38 personas y yo tenía 300 por delante. El hecho de que hubiera tanta gente en la terminal se debía a que en Palma Soriano había carnavales y todo el mundo estaba andando en esa dirección. Como era de esperar, no pude irme. Empecé a dar vueltas y ver si salía otro carro. Había una máquina privada que estaba llenando hasta Palma, pero costaba más de lo que yo tenía.
Sobré las diez de la noche perdí toda esperanza de poder irme. Fui hacia el frente de la terminal y me acomodé contra un poste de la luz para dormir un poco, cosa imposible con el ruido de los carros y el miedo a quedarme dormido y que me robaran las ropas y me dejaran desnudo. No sé por cuánto tiempo me quedé dormido, solo sé que cuando abrí los ojos vi una guagua que estaba cargando personal. Salí corriendo hacía ella y me di cuenta que estaba casi llena y con el número que yo tenía era imposible subir. Se me ocurrió una idea y me acerqué a la ventanilla del chofer y le expliqué:
Mire chofer- poniendo una cara de desgraciado- yo soy de Jiguaní y necesito irme pero tengo un número demasiado alto. Hoy es mi cumpleaños, mire usted mi carné de identidad si desea, y quisiera al menos poder dormir en mi casa y no aquí en el medio de la calle.
Parece que mi explicación con aquella cara de haber perdido un familiar querido, lo convenció y me dijo:
– Está bien, ponte por aquella esquina que yo te voy a recoger.
Así lo hizo, y aun cuando tuve que ir sentado en el piso estaba muy contento de mi suerte. Le dije que se acordara que yo me quedaba en Jiguaní y no me fuera a llevar para Manzanillo, lugar al cual se dirigía la guagua para buscar a un grupo musical que estaba participando en los carnavales de aquel municipio. Llegué a Jiguaní sobre la media noche. La ciudad estaba oscurísima, pero no tenía miedo porque sabía que allí no había delincuentes como en otras ciudades. Seguí hasta la salida de la ciudad y tomar la carretera hacia mi barrio. Me quedaba aún 6 Km para llegar. La carretera estaba muy oscura, solo iluminada por las estrellas que cubrían el negro cielo como pequeñas lámparas, pero su luz no era suficiente para iluminar mi camino. Cada ruido me asustaba un poco. Sentía mis pasos y pensaba que eran los pasos de otra persona que me seguía. En ese momento comencé a recordar todas las historias de muertos y aparecidos contadas por mis abuelos y mi padre y el miedo me hizo apretar el paso. Llegué a mi casa como a la una de la mañana. Toqué la puerta y me abrió mi mamá, muy preocupada por mi tardanza.